FILO E PENNA

“Fin da bambina ho amato il gesto della scrittura nelle mani dei grandi: osservare la punta della penna ricamare col filo dell’inchiostro sulla pagina bianca i segni che danno visibilità al pensiero; quell’atto morbido, come un lasciarsi andare, per rendere fluida ed elegante la scrittura. Un atto rivelativo”.

Quando ho imparato a scrivere, ho amato quel gesto uscire dalle mie mani. Scrivevo per realizzare quell’incanto: la ginnastica delle mani per copiare pagine dai libri. Per molto tempo per me la scrittura è stato il compiersi della magia del gesto grafico.

In seguito, quando ho imparato a leggere, nel seguire i fili colorati delle narrazioni, la meraviglia per il gesto della scrittura si è trasformata nel desiderio che quei fili ricamassero le mie, di storie, tracciassero i miei sentimenti, rendessero visibile il mondo della mia immaginazione e del mio cuore.

Il primo testo con intento artistico, se così si può dire, lo scrissi per la mia maestra delle elementari che, dopo due anni di insegnamento nella mia classe, faceva ritorno con la famiglia alla città d’origine. Avevo sette anni, mio fratello trovò lo scarabocchio poetico e lo consegnò ai nostri genitori, che mi designarono, da lì in poi, come (piccola) scrittrice.

“Abbastanza presto mi è stato chiaro che intrecciare quei fili per costruire trame non sarebbe stata una faccenda facile, così per diverso tempo ho rivolto la mia pratica a qualcosa che di fili e trame era fatto, ma non era la scrittura, bensì il cucito”.

Mia nonna mi mise l’ago in mano che forse avevo cinque anni, per insegnarmi a ricamare. Il mio primo centrino, ricamato a punto lanciato su una tela traliccio con fili di lana grossa a righe di colori sfumati, campeggia ancora sul tavolino da tè del salotto di mia mamma. Verso gli otto anni imparai anche il lavoro all’uncinetto e ai ferri e, intorno ai sedici anni, ero in grado di scaricare un cartamodello dalle riviste e confezionarmi qualche capo su misura che indossavo con grande orgoglio. Sebbene fosse un’attività che mi piacesse tantissimo, la sartoria non è però diventata la mia professione. Tuttavia destreggiarmi con stoffe e filati è rimasta una delle mie passioni.

Diventando grande, usare la parola poetica per tentare di esprimere ciò che vedevo e vivevo, mi è sembrato un buon modo per provare a mettermi a scrivere, illudendomi che la brevità dei versi andasse di pari passo con la facilità del comporre poesie. Niente di più sbagliato. Così, seppure la poesia sia rimasta la scintilla di partenza per la mia scrittura, pian piano ho lavorato per trovare la misura delle parole adeguata alla mia immaginazione e visionarietà, e adeguata al mio respiro.

Sì, perché scrivere è anche prendere fiato, ridare ossigeno, prima di tutto a me stessa, poi a chi mi legge.

Se guardo all’indietro il tempo che mi ha portato fino a oggi, trovo che tra scrittura e cucito ci sia un legame misteriosamente intrinseco; amo i tessuti, mi affido alle parole e in tutto rintraccio una questione di fili, di trame, di mani che si fanno operative.

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